Ogni anno, a Pasqua, gli ebrei leggono un testo nel quale compare la frase: «In ogni generazione
si sollevarono contro di noi per eliminarci; ed il Santo, benedetto Egli sia, ci ha salvato dalle loro mani».
Come tutti i popoli perseguitati anche gli ebrei, pur confidando nel Signore, svilupparono delle strategie i sopravvivenza e canonizzarono dei comportamenti cui attenersi nei momenti di crisi. Dopo la fine disastrosa dell’ultima rivolta contro i romani, nel 135 e.v., gli ebrei, ormai dispersi in diaspora, si attennero generalmente ad una strategia basata sul compromesso con la potenza persecutoria, nel tentativo di salvare il salvabile, o, quantomeno, di poter emigrare verso lidi meno inospitali.
Questo approccio al problema garantì la sopravvivenza dell’ebraismo europeo per quasi due millenni, e fu acquisito come carattere distintivo della cultura ebraica.
Nel caso della persecuzione nazista, che mirava espressamente allo sterminio, il compromesso risultò inutile; i sopravvissuti debbono la loro salvezza non ad una trattativa abilmente condotta, ma alla sconfitta militare della Germania nazista. Le esperienze di 19 secoli, che avevano formato una tradizione e condizionato una cultura, furono vanificate; il trauma subito ha portato all’affermazione di un nuovo sistema di valori.
Per i figli dei sopravvissuti i comportamenti dei loro padri di fronte alla persecuzione sono quasi incomprensibili.
Il mondo dei gentili, abituato al millenario basso profilo dell’ebreo della diaspora, non riesce a
prevedere i comportamenti degli ebrei moderni.
Questo volume registra i risultati di una discussione su questi temi.

Politiche di sopravvivenza alle persecuzioni, a cura di Mario Jona, Esedra, Padova 2011

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