Marco Gesuà Sive Salvadori era discendente di un’antica famiglia di ebrei Levantini, di quelli che hanno iniziato a popolare il ghetto di Venezia dalla metà del ‘500 e sono stati una delle anime popolari dell’ebraismo lagunare. Marco ne era in qualche modo l’impersonificazione: legatissimo alla tradizione ebraica, ne faceva nel contempo una bandiera identitaria da inserire a pieno titolo nella vita della sua città. Aveva “bottega”, e trasportava il materiale usando la sua barca (sarebbe stato furgoncino nelle città con strade normali) dipinta di azzurro e bianco e orgogliosamente chiamata “Israel”. Era un grande appassionato ed esperto di voga alla veneta, e per decenni era riuscito ad ottenere il pettorale n.1 della Regata Storica: ne faceva un punto d’onore, ed aveva passato notti di veglia per ottenerlo, perché era importante – diceva – che il gruppo sportivo ebraico veneziano fosse presente e visibile. Marco era stato partigiano, non era tipo da nascondersi e basta, aveva deciso che la libertà andava anche conquistata. E negli ultimi anni era stato l’anima della testimonianza per le nuove generazioni. Sempre in prima fila alle manifestazioni cittadine del 25 aprile in ghetto (perché a Venezia quella ricorrenza è festa cittadina ed ebraica nel contempo), con la sua bandiera e il fazzoletto partigiano al collo, era spesso nelle scuole a raccontare la sua storia, commovendosi sempre e coinvolgendo in maniera travolgente gli studenti, che rimanevano incantati ad ascoltare questo eroe contemporaneo. Quando una figura come Marco scompare, in una piccola comunità come Venezia, è come se morisse un mondo intero, viene a mancare un pilastro insostituibile perché su di lui si concentravano elementi forti come il saldo legame con la città e il territorio, e la straordinaria forza di trasmissione di una tradizione ebraica non solo passivamente ricevuta, ma interpretata con determinazione. I figli e i nipoti di Marco hanno ereditato da lui tutto questo, sono grandi esperti di voga alla veneta e nel contempo non c’è chi li eguagli nell’intonare con forza e con dolcezza le antiche melodie di schola levantina. La tradizione continua, ma il vuoto per la perdita di Marco rimane incolmabile. Che la terra gli sia lieve.
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