Nell’Italia del Rinascimento era noto come Elia Levita, un’autorità nel campo della grammatica e della lessicografia ebraiche e aramaiche; nella storia dell’ebraismo è ricordato come Elye Bokher, un ashkenazita approdato in Veneto dall’originaria Germania sul finire del XV secolo. Amico di umanisti e di prelati, forse anche di papa Leone X, oltre a dizionari e opere di grammatica, Elye pubblicò testi poetici in lingua yiddish, dai poemi cavallereschi alle pasquinate. Qui si traducono per la prima volta in italiano due lider, due canti di ira e di parodia, di cronaca e di maldicenza. Vi si racconta dei mali della guerra, dell’incendio nel quartiere di Rialto e del saccheggio che ne seguì, della povertà e della ricchezza, della malvagità e dell’ingordigia. Sullo sfondo sontuoso della Venezia di Tiziano.

“Pasquinate” si direbbe in italiano, “pashkviln” in yiddish, senz’altro patrimonio letterario e umano di una Venezia (e un’Italia) multietnica che si racconta senza veli. Ecco un assaggio:

“[…]Solo mi fa infuriare/che quando un povero fa qualcosa /è perduto di qua e di là/ciascuno berrebbe volentieri il suo sangue. /Ma ciò che i ricchi fanno qui /va sempre bene. /Si lascia passare tutto. /Che abbia pietà il Signore.

Un povero commette una colpa in segreto / è perché è la miseria che lo spinge / mentre i ricchi di solito / lo fanno apertamente / e se dovessi raccontare tutto / ciò che fanno in un anno / non mi basterebbero i giorni della mia vita / giorni che mi dona il Signore.

E persino fin in Italia / la cosa ha un brutto aspetto / nessun peccato è vergogna / ciascuno fa ciò che gli va / Un uomo pio lo si trova di rado / sia tra i giovani che tra i vecchi / la fede ebraica procede con le stampelle / nessuno riconosce il Signore.”

Non è che dal ‘500 ci siano stati grandi cambiamenti…

Elye Bokher, Due canti Yiddish. rime di un poeta ashkenazita nella Venezia del Cinquecento, a cura di Claudia Rosenzweig, Bibliotheca Aretina, Roma 2010, 144 pp., € 15,00

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